Nella sera di martedì 2 aprile nei locali dell’oratorio è venuta a parlare la Prof.ssa Eliana Brizio, insegnante di religione all’IIS Denina di Saluzzo e collaboratrice per la pastorale giovanile della Diocesi di Saluzzo, Formatrice pastorale su temi teologici per gruppi di genitori, catechisti e giovani. Il tema da affrontare è: il sacramento del perdono.

Il cuore dell’essere cristiani è il perdono, la misericordia.

La serata inizia con il descrivere la differenza che l'essere umano si crea tra Sacramento del perdono, nella mente di tutti si delinea la confessione, e il perdono, il nostro “scusa". Confessione che viene vissuta come un peso: “non ho mica ammazzato nessuno", “ho sempre gli stessi peccati da dire", “quel parroco non mi piace". Storicamente il catechismo ha subito varie modifiche, partendo dalla “Dutrina", ad un secondo testo che attualmente è stato soppiantato da un ulteriore terzo. Con il passare del tempo c'è stata una disaffezione alla confessione. Il problema è che oggi ci confessiamo per cose che non sono peccati e per altre che sono peccati ma che la società odierna ci "nasconde”, come il dire cose private in modo pubblico, o come non portare rispetto ai propri genitori o ancora compiere atti impuri che ormai ricadono nella normalità. Una delle motivazioni che potrebbe aver portato alla disaffezione è stata la mancanza di formazione e di educazione su cosa significa il perdono. Molti si stupiscono del fatto che la confessione sia così semplice, veloce, immediata e vivono di scrupoli. Oppure molti hanno paura che per fare una buona confessione bisogna uscirne cambiati, diversi.

È stato poi analizzato l’atto di dolore, preghiera che è stata da sempre insegnata al catechismo e le cui parole a volte portano alla deviazione del reale senso di perdono: “…perché peccando ho meritato i tuoi castighi…” “…e molto più perché ho offeso te…”, “…di fuggire le occasioni prossime di peccato…”. Su quest'ultima frase ci si è soffermati per darne la corretta interpretazione: evitare le occasioni che mi porterebbero a peccare conoscendomi personalmente; quelle occasioni in cui il terreno della nostra vita è sdrucciolevole, scivoloso, ma tremendamente attraente. La vera forza, tramite il “…propongo con il Tuo Santo aiuto…", è quello di resistere a queste tentazioni. Queste sono molto concrete come l’evitare di entrare nel pettegolezzo, nel giudizio altrui, nei rapporti negativi con altri, negli atti impuri; un tempo le occasioni erano minori, ora l'esempio di occasione a portata di mano è il cellulare.

Molti pensano di essere superiori al perdono perché non credono Dio esista e quindi la confessione è personale, un discorso privato tra sé stessi e Dio; addirittura c'è chi critica i sacerdoti per il loro ruolo di intermediari o ancora chi critica le persone che si confessano e poi si comportano sempre nel medesimo modo. Per questi motivi sembra che la confessione sia inutile, quindi si tende ad evitarla. Viene presa come una pratica medievale, vecchia, obsoleta.

Perdono

Negli ortodossi ad esempio la pratica della confessione prevede che il sacerdote metta la stola sul peccatore e si avvicini a lui, facendo da testimone a quello che il peccatore ha da dire dinanzi al Signore. Questa prende il termine greco “farmacon" che subito ci fa pensare alla parola farmaco. Oggi abbiamo tanto a cuore la cura del corpo, ma abbiamo tralasciato quella dell'anima. Quando si sta male, si ha qualcosa di grave, non si chiede nulla al Medico curante, solo di essere salvati. La pratica della confessione dovrebbe far scaturire questa sensazione, questa necessità impellente per la nostra anima.

Fondamentale è la pratica della preghiera. Questo non significa solo dire a memoria i vari testi delle principali preghiere imparate al catechismo, ma instaurare nuovamente un rapporto con il Signore, aprirgli il cuore e stare in silenzio per ascoltare cosa ci dice. Avere un vero e proprio rapporto con lui, raccontandogli la vita quotidiana; al catechismo capita a volte che si faccia svolgere ai nostri bambini il tema “racconta la tua vita al Signore”, cosa che potrebbe essere utile anche ai più adulti.

L’orgoglio è il male più grande per il perdono e il saper perdonare. Nelle chiese croate, slovacche e rumene, quando si svolge il rito del matrimonio cattolico, nel momento in cui gli sposi si prendono la mano destra, il sacerdote pone un crocifisso tra queste, che poi regalerà loro. Quello verrà posto nella casa e diverrà “l'angolo del perdono", dove ogni sera prima di andare a dormire gli sposi si chiedono perdono per eventuali mancanze reciproche, lasciando da parte l’orgoglio e il rancore. È una cosa bella, quasi da copiare.

È caduto anche in disuso l’esame serale della coscienza, cosa che i “diversamente giovani” (i famosi formati dalla “Dutrina”) avevano, e hanno tutt’ora, l'abitudine di fare. Questo aiuta ad avere una visione giornaliera della vita, avere coscienza di cosa si è fatto, degli eventuali peccati e quindi si ha la possibilità di chiedere perdono. Nell’educazione dei figli, oltre al ringraziamento e alla preghiera rivolta a qualcuno, sarebbe bello riproporre l’esame di coscienza, utile anche per sfuggire dalla freneticitá che caratterizza le nostre esistenze, facendoci scivolare la giornata tra le dita.

L’ultimo intervento ha preso in esame la parabola del Padre Misericordioso, provando ad analizzarla insieme e raccontandola. Ci si è soffermati molto sulla frase “…divise il suo patrimonio in parti uguali…”. Anche il figlio maggiore, pur rimanendo in casa con il Padre, non lo conosce, non sa come ragiona ed è invidioso. È stato troppo orgoglioso per chiedere al Padre un capretto per fare festa. Significa che non ha avuto fiducia nel Padre. Chi non si confessa e chi pensa di non avere bisogno del Signore per chiedere perdono, questi possono essere equiparati ai figli maggiori. La maggior parte di chi legge o ascolta questa parabola, si immedesima nel figlio minore perché è la figura che più spicca ed è la più “umanamente" colpevolizzabile. Il suggerimento è prendere la parte di ogni personaggio per cercare di capire i vari punti di vista.

Nell’enorme mole di input che la Prof.ssa ci ha lasciato non si riesce a concludere con un pensiero ben delineato. L’obbiettivo è stato quello di parlare di un Sacramento che tutti hanno presente, ma che è ormai caduto in disuso e che addirittura, nelle nuove generazioni, è scomparso, ma che è una delle basi per poter vivere da buoni cristiani, applicando la Parola di Dio nella quotidianità.

Si può tentare di chiudere il cerchio riportando due grandi verità. La prima è che si deve essere più misericordiosi con sé stessi abbassare l’asticella delle nostre aspettative con il Signore, in modo da avere lo sguardo più misericordioso nei confronti dei fratelli che ci circondano, attenuando di conseguenza il giudizio nei confronti del prossimo. L’altro pensiero è che bisogna perdonare nella misura in cui il Signore perdona a noi, quel Signore che è padre misericordioso e al quale non importa se siamo fratelli minori o maggiori: Lui viene smosso dall'amore infinito nei nostri confronti e fa sempre il primo passo per riabbracciarci. Se noi saremo in grado di farci abbracciare, allora potremo partecipare al banchetto e alla festa.

Massimiliano Invernizzi