Il terzo appuntamento del cammino dei ragazzi dell’Unione Pastorale 49 è stato guidato dal giovane don Marco Gallo (Parroco di Verzuolo, Falicetto e Villanovetta della Diocesi di Saluzzo). Dopo le presentazioni, la preghiera iniziale di don Gianluigi e il canto, don Marco ha introdotto l’argomento della serata: la gioia e più nello specifico cosa significhi questa per un cristiano. Il suo intervento si è aperto subito con esempi di vita quotidiana il cui il tema è il rinviare o meno. L’importanza nella vita di saper dare il giusto peso alle cose e quindi capire cosa si può rinviare davvero e cosa invece è opportuno fare comunque, anche se le condizioni reali mutano rispetto a quelle presenti nelle nostre aspettative (che spesse volte sono sempre rosee); basti pensare a quest’anno e alla pandemia. È stata causa sicuramente di tanti rinvii forzati. Ma necessari?

Don Marco poi ha posto l’accento su una considerazione che spesso si dà per scontata: per fare del bene bisogna stare bene. Per il cristiano questa dovrebbe essere una cosa spontanea in quanto dovremmo essere consapevoli (sempre) che in tutto ciò che siamo (pregi e difetti) e in tutto ciò che facciamo siamo amati per primi da Dio. Nella vita, invece, troppe volte lo si dimentica e sembra che il mondo ce l’abbia con noi. Si innestano pensieri di invidia, gelosia verso chi sembra avere di più, sia più felice e di conseguenza Satan (collegamento con la seconda serata guidata da Fra Valentino) si insinua nei nostri momenti di sconforto e debolezza, portandoci su altre vie.

Il testo cardine della serata è stato il brano di Vangelo di Giovanni che ha come personaggio Nicodèmo (Gv 3,14-21).

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

Dopo la lettura il don ha chiesto a ogni giovane di individuare la parola più importante del testo e ripeterla a voce alta. Per aiutare l’analisi del testo sono poi state fatte diverse domande, utili anche alla condivisione.

Altro brano utile al ragionamento è stato quello tratto da I racconti dei chassidim di M. Buber.

A un rabbi, il cui nonno era stato discepolo del Baalshem (fondatore del chassidismo) fu chiesto di raccontare una storia. “Una storia”, disse egli, “va raccontata in modo che sia essa stessa un aiuto”. E raccontò: “Mio nonno era storpio. Una volta gli chiesero di raccontare una storia del suo maestro. Allora raccontò come il santo Baalshem solesse saltellare e danzare mentre pregava. Mio nonno si alzò e raccontò, e il racconto lo trasportò tanto che ebbe bisogno di mostrare saltellando e danzando come facesse il maestro. Da quel momento guarì. Così vanno raccontate le storie”.

La gioia del cristiano va vissuta in prima persona e va fatta trasparire in modo che sia contagiosa. Non è la gioia che viene così ben dipinta dalla società e dai social. Quella felicità da inseguire costantemente, in modo indefesso, addirittura compiendo scelte che possono ledere la vita altrui e la convivenza con il fratello/sorella. Per il cristiano, così la definisce don Marco, la felicità è una tregua. Non un periodo infinito, quindi, ma un periodo ben preciso (si pensi al significato di tregua in una guerra: permette agli eserciti di rifocillarsi, di curare i feriti, di riorganizzarsi) che va vissuto con tutto noi stessi. Tutto ciò essendo consapevoli del fatto che la gioia non è infinita e che noi cristiani siamo fatti per la gioia eterna, nella prossima vita.

La gioia è lasciarsi coinvolgere dalle storie che guariscono.

È davvero difficile racchiudere in un articolo le cose dette da don Marco. Noi giovani ci portiamo dentro importanti spunti su cui riflettere per perseguire la gioia. Gioia che il Signore vuole per ogni essere umano e che può essere raggiungibile seguendo i Suoi insegnamenti.

Ecco alcuni testi suggeriti da don Marco utili in questo periodo così forte (e per la vita):

  • L’ora di lezione - Massimo Recalcati
  • La società senza dolore. Perché abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre vite - Byung-Chul Han
  • Il cammino dell’uomo - Martin Buber
  • La cura dello sguardo - Franco Armonio
  • Meditazione di françois cassingena trevedy monaco filosofo francese​, lo potete trovare qui alla fine del numero di RPL:​ https://www.queriniana.it/libro/rivista-di-pastorale-liturgica-4351

 

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